lunedì 5 dicembre 2011

Omega-3

Omega-3: gli integratori per eccellenza. A cura del dott. Carlo Maggio

Omega-3: i grassi “buoni” 

Quando si parla di alimentazione e grassi vengono in mente brutte malattie come l’infarto cardiaco e l’ictus cerebrale. In realtà, esistono grassi pericolosi per la nostra salute, che sono i grassi “saturi” di origine animale e quelli che ci aiutano a star bene, i grassi “insaturi” di origine vegetale e presenti anche nel pesce. Grassi saturi e insaturi: qual è la differenza? Il carbonio, che costituisce l’ossatura dei grassi, è un atomo tetravalente, capace di legarsi chimicamente ad altri quattro atomi. Talora, il carbonio si lega ad un altro atomo di carbonio con un doppio legame chimico e viene definito insaturo. I grassi saturi sono costituiti appunto da atomi di carbonio uniti fra loro senza doppi legami. I grassi insaturi presentano uno (monoinsaturi) o più doppi legami (polinsaturi) fra gli atomi di carbonio.

Acido alfa-linolenico (ALA)
Omega-3 con primo doppio legame sul terzo atomo di carbonio

Il termine omega-3 o n-3 significa che il primo doppio legame è sul terzo atomo di carbonio.
I grassi saturi, generalmente solidi, sono contenuti ad esempio nei formaggi e nei salumi. I grassi insaturi, abitualmente liquidi a temperatura ambiente, sono contenuti, ad esempio, negli oli di oliva (monoinsaturi) e nei pesci (polinsaturi). 



Omega-3: i magnifici 3

I principali omega-3 sono, guarda caso, proprio tre. Il padre degli omega-3 è l’acido alfa-linolenico (ALA), costituito da 18 atomi di carbonico con 3 doppi legami, di origine vegetale, contenuto soprattutto nelle noci, negli oli di lino e di soia e nelle verdure a foglia verde. Gli esseri umani non sono in grado di sintetizzare l’ALA quindi definito acido grasso essenziale, che deve essere introdotto con gli alimenti. A partire dall’acido alfa-linolenico, il nostro organismo può sintetizzare gli altri due acidi grassi n-3 fondamentali per la nostra salute: l’acido eicosapentaenoico (EPA) e il docosaesaenoico (DHA). Purtroppo la sintesi di dell’EPA e del DHA (grazie all’enzima delta-6 desaturasi) si riduce con l’età e in presenza di alcune malattie, tipo diabete e ipertensione. Ecco perché è facile andare incontro ad una carenza di questi acidi grassi.

Omega-3: un valido aiuto alla salute

L’EPA e il DHA hanno una serie di proprietà salutari. Rendono più fluide le membrane cellulari, migliorano la funzione dell’endotelio vasale, cioè di quello strato interno di cellule che protegge le arterie e le vene. Gli omega-3 sono in grado anche di ridurre l’aggregazione piastrinica riducendo il rischio di trombosi e presentano caratteristiche antinfiammatorie. Sono numerosi gli studi che hanno dimostrato anche una loro capacità nel ridurre il rischio di infarto cardiaco, di ictus ischemico e di aritmie pericolose per la vita. Inoltre, il DHA è un importante costituente della corteccia cerebrale e dei bastoncelli retinici, cellule fondamentali per la vista.
Sebbene gli omega-3 siano impropriamente utilizzati per trattare l’ipercolesterolemia non sono in grado di ridurre i livelli di colesterolo, creando non poche delusioni. Tuttavia, l’effetto sui grassi sanguigni è assolutamente positivo in quanto sono in grado di aumentare le dimensioni delle molecole di colesterolo cattivo (LDL) riducendone il potere di creare lesioni aterosclerotiche nelle arterie e stabilizzando le placche ateromatose.


Alimenti a maggior contenuto di omega-3
(fonte INRAN)










Omega-3 e nutraceutica

La blasonata associazione scientifica americana, American Heart Association,  consiglia una dieta ricca di omega-3 che consiste nel consumare almeno due porzioni di pesce la settimana e utilizzando grassi vegetali contenenti acido alfa-linolenico. Per i pazienti con documentato rischio cardiovascolare il consumo suggerito di EPA e DHA sale a un grammo al giorno da raggiungere tramite il consumo di pesce o con integratori.
Anche la European Food Safety Autority (EFSA), autorità europea per la sicurezza alimentare ha proposto un’assunzione giornaliera di 250 mg al giorno di omega-3 (EPA e DHA) per la prevenzione delle malattie cardiovascolari nell’adulto,  di 100 mg al giorno di DHA nei bambini dal 7° al 24° mese di vita per il corretto sviluppo della vista e di 100-200 mg di DHA nelle mamme durante la gravidanza e l’allattamento.
Speso dosaggi così elevati si possono raggiungere con integratori a base di EPA e DHA. Bisogna fare attenzione che la purificazione di questi grassi sia basata su severi processi di distillazione molecolare in modo da rimuovere possibili contaminanti dei pesci (mercurio, diossina e policlorobifenili).  
Esiste anche la possibilità di assumere DHA di origine algale ottenuto da microalghe coltivate in ambiente controllato. Gli oli di origine algale, a differenza degli oli di pesce, sono inodori e possono quindi essere più facilmente integrati anche negli alimenti, incluso il latte per i bambini. L’olio algale presenta il vantaggio di non contenere iodio, metalli pesanti e diossine ed è l’ideale per vegetariani e vegani. Negli Stati Uniti il DHA algale è l’unico ammesso nelle formulazioni per bambini.


DHA di origine algale

Bibliografia

  • Marangoni Franca. Omega-3: un nutraceutico “olistico”, in: Nutraceutici e alimenti funzionali in medicina preventiva, di Claudio Borghi e Arrigo F.G. Cicero. Bononia University Press. Bologna 2011: 139-152.
  • American Heart Association Nutrition Committee, Lichtenstein AH et al. Diet and lifestyle recommendations revision 2006: a scientific statement from the American Heart Association Nutrition Committee. Circulation 2006; 114:82-96
  • EFSA Panel on Dietetic Products, Nutrition and Allergies (NDA). Scientific Opinion on Dietary Reference Values for fats, including saturated fatty acids, polyunsaturated fatty acids, monounsaturated fatty acids, trans fatty acids and cholesterol. EFSA Journal 2010; 8(3): 1461




giovedì 17 novembre 2011

Corso Sali Tissutali

Corso pratico sui Sali Tissutali        Brochure del corso

21-22 gennaio 2012 - Luserna San Giovanni (Torino). Istituto Rudy Lanza

Il dottor Wilhelm Heinrich Schüssler (1821-1898), medico e omeopata tedesco, si interessò, subito dopo la laurea, ai fini meccanismi che alterano le funzioni cellulari. Si accorse che la carenza o l’alterata distribuzione dei sali minerali nelle cellule potevano causare numerose malattie. Iniziò quindi ad elaborare un metodo semplice per il trattamento di questi disturbi che si differenziasse dall’omeopatia, basata, invece, su un enorme numero di rimedi. Partendo dall’osservazione che le ceneri dei muscoli contengono fosfato di magnesio, ottenne incoraggianti risultati trattando con questo sale, in una forma altamente diluita, persone affette da crampi ricorrenti.
Da queste prime ricerche prese l’avvio un trattamento alternativo all’omeopatia, basato su 12 sali tissutali endogeni, altamente diluiti (sesta decimale), con lo scopo di veicolare un “segnale” alle cellule affette da uno squilibrio nella concentrazione o nella distribuzione di sali minerali.

I fondamenti
Il corso sui sali tissutali del dott. Wilhelm Heinrich Schüssler è articolato in 5 moduli didattici, in un fine settimana. Con il primo modulo si iniziano a muovere i primi passi attraverso la magnifica scoperta del dott. Schüssler: alcuni sali minerali contenuti nel nostro corpo, se somministrati a dosi infinitesimali, forniscono un “segnale” utile per riequilibrare le funzioni cellulari. Come l’omeopatia o i fiori di Bach, l’impiego dei sali di Schüssler non è avallato dalla medicina allopatica. In effetti, il corso ha l’obiettivo di arricchire il bagaglio culturale del discente e non quello di  fornire informazioni mediche.
I dodici sali tissutali
Il secondo modulo didattico entra nel vivo descrivendo i dodici sali tissutali, prendendo in considerazione l’azione dei singoli sali attraverso un approccio innovativo che ne rende più semplice la memorizzazione.
Le combinazioni di sali tissutali
Nel terzo modulo si interpreta il razionale delle combinazioni dei sali tissutali, sia di quelle già presenti in alcune formulazioni commerciali, sia di quelle che possono essere realizzate estemporaneamente con la finalità di sfruttarne l’effetto sinergico.
Come scegliere il sale tissutale
Il quarto modulo didattico propone una serie di strategie per la scelta del sale appropriato. Si prende in considerazione anche la diversa presentazione dei disturbi e la modalità con cui si modificano sotto l’influenza di alcune variabili quali la temperatura esterna, le ore del giorno e l’attività fisica.
Esercitazioni
Il corso si conclude con una esercitazione collegiale sull’impiego dei sali tissutali. Si affronteranno insieme casi pratici, valutando e scegliendo il sale, o la combinazione di sali, più appropriata e la modalità di somministrazione. 
Docente
Dott. Carlo Maggio, Medico-Chirurgo, specialista in Cardiologia, Naturopata, esperto in Medicina Funzionale Regolatoria, direttore del Centro Medico Salus Project di Rivoli (Torino)  

sabato 5 novembre 2011

Sani fino a 100 anni

More about Sani fino a cent'anni
Ritorno al futuro

Bel tomo di 416 pagine! Pochi concetti ma ribaditi con entusiasmo. I popoli dei centenari, che siano ad Okinawa, Hunza, Vilcabamba o in Abkhazia, hanno delle caratteristiche comuni. Tanta attività fisica, assenza di "schifezze" nell'alimentazione (tipo zuccheri e grassi animali), tanto amore per il prossimo e rispetto per gli anziani. In altri termini, vivono a lungo come mamma li ha fatti. John Robbins, figlio di un padre che si è arricchito con i gelati negli USA, propone un ritorno al passato per proiettarsi nel futuro dei 100 anni di vita rimanendo giovani. Talora sembra quasi contrario ad ogni progresso, ma ha ragione da vendere sullo tsunami metabolico della dieta occidentale. Insomma un libro gradevole anche se talora un po' sempliciotto.

venerdì 21 ottobre 2011

Scompenso cardiaco nell'anziano e defibrillatore impiantabile

All'8° Congresso Nazionale dell'Associazione Geriatri Extraospedalieri ho presentato una relazione sullo scompenso cardiaco nell'anziano, con particolare interesse all'impiego dei defibrillatori impiantabili per la prevenzione della morte cardiaca improvvisa. 
Lo scompenso cardiaco è una malattia molto diffusa negli anziani e spesso ne viene sottostimata la gravità, talora superiore a quella di alcuni tumori fra i quali il carcinoma mammario. E' fondamentale la diagnosi precoce in quanto esistono farmaci che migliorano notevolmente la prognosi e le condizioni cliniche. 
In casi avanzati, per prevenire la morte improvvisa cardiaca, è consigliabile l'impianto di un defibrillatore, una specie di pacemaker capace di eliminare con uno shock elettrico aritmie pericolose per la vita. L'impianto del defibrillatore si esegue in anestesia locale introducendo uno o più elettrocateteri  (che raggiungono il cuore attraverso le vene) collegati con un dispositivo elettromedicale molto sofisticato dello spessore di 11 mm.
Una versione parziale della presentazione in PowerPoint è scaricabile gratuitamente dalla pagina delle conferenze (2011) sul sito del dott. Carlo Maggio http://www.carlomaggio.it/conferenze.htm

domenica 31 luglio 2011

venerdì 29 luglio 2011

Una meravigliosa testimonianza

Questi fiori incantevoli rappresentano una testimonianza di stima reciproca con dei miei affettuosi clienti

sabato 23 luglio 2011

Paracetamolo (Tachipirina) e rischio di danno epatico acuto

Rischio di danno epatico da sovradosaggio di paracetamolo (Tachipirina)
Il paracetamolo (noto come Tachipirina, uno dei nomi commerciali) è un farmaco molto utilizzato in Italia, soprattutto per ridurre la temperatura corporea in caso di febbre. E’ molto più utilizzato dell’aspirina per combattere la febbre, anche per la sua ottima tollerabilità gastrica.  Tuttavia, in caso di sovradosaggio può causare dei pericolosi danni al fegato, essendo infatti la più nota causa di insufficienza epatica acuta da farmaci. Sono ben noti i ricoveri ospedalieri in emergenza da sovradosaggio di paracetamolo.
Rischio di danno epatico con normali dosi di paracetamolo
Lo studio di Monica Sabate e collaboratori, pubblicato recentemente su BCM Gastroenterology, ha indagato il possibile ruolo del paracetamolo, assunto a dosaggi terapeutici, in 26 soggetti con danno epatico acuto non alcolico. In 7 di questi l’associazione del danno epatico con l’assunzione di paracetamolo è stata considerata superiore rispetto a quella con altri farmaci. L’incidenza di danno epatico acuto da paracetamolo a dosaggio terapeutico è stato stimato in 0,4 casi per milione di abitanti/anno, nei soggetti con età superiore a 15 anni. Quindi, sebbene non sia possibile escludere un danno epatico acuto anche da normali dosaggi di paracetamolo, questa eventualità sembra molto rara

Il cancro negli Stati Uniti: la classifica dei tumori più pericolosi

L'incidenza dei casi di cancro negli Stati Uniti
Si stima che nel 2011, negli Stati Uniti, si verificheranno 571.950 decessi per tumori. L’incidenza di nuovi casi di cancro è stabile negli uomini dopo un una progressiva riduzione dal 2001 al 2007. Nelle donne l’incidenza di nuovi casi di tumori continua a ridursi. Si stima che questa riduzione di nuovi casi di tumori abbiano risparmiato 898.000 morti per cancro. Tuttavia, questi benefici sono stati maggiori nei soggetti con un numero più elevato di anni di studio. Infatti, le morti per tumori sono il doppio nei soggetti con minore scolarità. 
La mortalità per cancro negli Stati Uniti
Nel 1999 il cancro è diventato la principale causa di morte fra uomini e donne con età inferiore agli 85 anni, superando le malattie cardiovascolari. Dal 1990 al 2007 la riduzione della mortalità per cancro è stata del 22,2% negli uomini e del 13,9% nelle donne. Negli uomini, la riduzione di mortalità per cancro del polmone, della prostata e del colon-retto costituisce l’80% della riduzione totale, mentre per le donne la riduzione della mortalità per cancro della mammella e del colon-retto costituisce il 60% della riduzione totale. La minore mortalità per cancro del polmone fra gli uomini è principalmente legata alla riduzione del fumo di sigaretta. Il decremento della mortalità per cancro della mammella nella donna e per cancro del colon-retto e della prostata riflettono i progressi nella diagnosi precoce e nella terapia oncologica.

venerdì 22 luglio 2011

Acido urico elevato: attenti al ferro!

    Incremento dell'uricemia: sospettare un aumento del ferro nell'organismo
  L'aumento dell'acido urico nel sangue (uricemia) può associarsi a elevati livelli di ferro nell'organismo (ferritinemia), talora causati dalla emocromatosi, malattia potenzialmente pericolosa. Queste sono le conclusioni di un interessante studio pubblicato da Arch G Mainous e collaboratori sulla rivista "Journal of the American Board of Family Medicine" (numero di luglio/agosto 2011). Lo studio è stato elaborato sui dati di un'ampia indagine condotta negli Stati Uniti fra il 1999 e il 2002: il National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES).

  Valori patologici dell'acido urico e della ferritinemia
  Sono stati considerati patologici valori dell'uricemia superiori a 7 mg/dl nell'uomo e a 6 mg/dl nella donna. Per la ferritinemia sierica, valori superiori a 300 ng/mL nell'uomo e superiori a 200 ng/mL nella donna sono stati identificati come soglia per parlare di sovraccarico di ferro.  
      
Risultati e considerazioni finali
  Lo studio di Mainous ha evidenziato che i soggetti con uricemia elevata (iperuricemia) presentavano più frequentemente livelli elevati di ferritinemia. Il sovraccarico di ferro può essere presente nell'emocromatosi, malattia che può causare cirrosi epatica, diabete mellito e scompenso cardiaco. E' quindi fondamentale la diagnosi precoce di tale patologia. Le conclusioni dello studio ovviamente suggeriscono di eseguire ulteriori ricerche per avvalorare quanto rilevanto da Mainous e collaboratori. Inoltre, nei soggetti con iperuricemia potrebbe essere indicato il controllo della ferritinemia per evidenziare precocemente un eventuale sovraccarico di ferro.
  Link e riferimento bibliografico
  J Am Board Fam Med 2011; 24: 415-421
  http://www.jabfm.org/cgi/content/full/24/4/415





mercoledì 20 luglio 2011

Infarto cardiaco e fratture da osteoporosi

  "Mi hai spezzato il cuore!" "Ehi, attento alle ossa".
  Cosa significa? Chi è andato incontro alla disavventura di essere colpito da un infarto cardiaco corre un rischio aumentato di fratture da osteoporosi. Sarà vero? E' quanto affermano Yariv Gerber e collaboratori della Mayo Clinic di Rochester nel Minnesota sull'ultimo numero (19 luglio 2011) della prestigiosa rivista Circulation. 
  Lo studio epidemiologico sull'associazione tra infarto cardiaco e fratture da osteoporosi si è svolto nella Contea di Olmsted, nel Minnesota (USA), e ha preso in considerazione 6642 soggetti seguiti per circa 4 anni sino al 2009. I risultati sono semplici: è stato rilevata una tendenza ad un aumentato rischio di fratture nei soggetti in precedenza colpiti da infarto cardiaco. 
  Sono state formulate diverse ipotesi per spiegare l'aumentato rischio di fratture negli infartuati: ad esempio l'impiego di farmaci quali l'eparina, gli anticoagulanti orali e alcuni tipi di diuretici (dell'ansa), ma l'analisi approfondita dei dati non ha suffragato questa teoria.
  Le implicazioni cliniche sono importanti: qualora ulteriori studi confermino questi dati è consigliabile approntare un piano di prevenzione delle fratture da osteoporosi in pazienti con storia di infarto cardiaco, soprattutto se donne, anziani e pazienti che presentano più patologie contemporaneamente.

Yariv Gerber et al. Association Between Myocardial Infartion and Fractures: An Emerging Phenomenon. Circulation 2011; 124: 297-303




martedì 19 luglio 2011

I sali di Shussler

  E' interessante rilevare come in medicina una scoperta sia il frutto della ricerca di numerosi studiosi, in paesi diversi, su campi d'indagine differenti.
  Il XIX secolo partorì una moltitudine di intuizioni e concetti in campo medico. Rudolf Virchow (1821-1902), patologo presso l’ospedale Charité di Berlino, studia le cellule considerandole le più piccole unità viventi del nostro organismo. Intanto, Jacob Moleschott (1822-1893), scienziato e fisiologo olandese, scopre l’importanza dei sali minerali per gli organismi animali e per l’uomo. 
  In questo fervore spunta Wilhelm Heinrich Schüssler, (1821–1898), medico tedesco in Oldenburg, interessato all'omeopatia. Il dott. Schüssler si distacca dall'omeopatia, basata su un numero sterminato di rimedi, e inizia a curare i suoi pazienti con 12 sali da lui elaborati, definendo con il termine di "Biochimica" questo approccio terapeutico. I sali, come i rimedi omeopatici, si ottengono ricorrendo a diluizioni elevate (generalmente 1:1.000.000).
I rimedi biochimici devono essere diluiti fino al punto in cui non alterano le funzioni delle cellule sane, ma sono in grado di riequilibrare i disturbi funzionali presenti. Heinrich Wilhelm Schüssler 
 Questo tipo di terapia non convenzionale costituisce una novità che non viene bene accolta sia dalla medicina ufficiale (allopatica) sia dal mondo dell'omeopatia. Il dott. Schüssler continuerà a lavorare secondo i suoi principi e avrà anche alcuni arguti seguaci. I suoi insegnamenti sono arrivati e praticati anche ai giorni nostri.
Wilhelm Heinrich Schüssler (1821–1898)

I sali di Shussler: 12 sostanze minerali per la salute

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